aprile 23, 2008

UNA TRAGEDIA BELLISSIMA


La storia vera di Isabella Morra, poetessa del 1500, ci fa scivolare altrove , regalandoci emozioni reali.

Di seguito è raccontata la vita di Isabella Di Morra e del suo amore tragico nel senso che il sentimento, nella vicenda, avrebbe dovuto trionfare, ma ciò è stato impedito da eventi terribili.

La vita di Isabella, infelice, ha tutte le caratteristiche del romanzo romantico. Nata a Favale (odierna Valsinni) nel 1520 da famiglia patrizia e cresciuta in solitudine nell’atmosfera cupa e severa del castello paterno manifestò durante la fanciullezza una predilezione per i poeti classici e una spiccata attitudine a fantasticare. Quando il padre fu costretto ad emigrare presso la corte di Francesco I, in Francia, Isabella fu affidata ai fratelli che la tenevano segregata nonostante le sue espressioni di ribellione. Un canonico, maestro privato della ragazza, favorì la corrispondenza amorosa fra Isabella e Diego Sandoval de Castro che aveva sposato una Caracciolo e villeggiava nel castello di Bollita.

Quando i fratelli scoprirono la relazione uccisero dapprima il maestro, poi Isabella ed infine Diego Sandoval.

Si dice che ancor oggi, nei pressi del castello, si aggiri il fantasma di Isabella.

Le tredici poesie di Isabella sono sopravvissute miracolosamente alla tragica vicenda. Esse testimoniano la raffinata cultura e l’indole appassionata. La tragicità degli accenti e la potenza descrittiva dei paesaggi ci convincono della sua natura forte ed appassionata quasi volessero annunciare l’inevitabile tragica fine.

I fieri assalti di crudel fortuna

I fieri assalti di crudel fortuna
scrivo piangendo, e la mia verde etate;
me che 'n sì vili ed orride contrate
spendo il mio tempo senza loda alcuna.

Degno il sepolcro, se fu vil la cuna,
vo procacciando con le Muse amate,
e spero ritrovar qualche pietate
malgrado de la cieca aspra importuna;

e col favor de le sacrate Dive,
se non col corpo, almen con l'alma sciolta,
essere in pregio a più felici rive.

Questa spoglia, dov’or mi trovo involta,
forse tale alto Re nei mondo vive,
che ‘n saldi marmi la terrà sepolta.

Ecco ch'un'altra volta, o valle inferna

Ecco ch’un’altra volta, o valle inferna,
o fiume alpestre, o ruinati sassi,
o ignudi spirti di virtute e cassi,
udrete il pianto e la mia doglia eterna.

Ogni monte udirammi, ogni caverna,
ovunq’io arresti, ovunqu’io mova i passi;
chè Fortuna, che mai salda non stassi,
cresce ogn’or il mio male, ogn’or l’eterna.

Deh, mentre chì’io mi lagno e giorno e notte,
o fere. o sassi, o orride ruine,
o selve incolte, o solitarie grotte,

ulule, e voi del mal nostro indovine,
piangete meco a voci alte interrotte
il mio più d’altro miserando fine.

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